In morte di Pino Greco, viaggiatore della terra

Cosa è la vita? Cosa è la morte? In cosa consistiamo? Perché viviamo? Cosa ci attende? E’ tutto solo un sogno oppure, più semplicemente, un insondabile mistero?
Sono domande ardue, che ci giungono sin dal momento in cui la coscienza prende dimora in noi e che ci accompagnano, come fedeli compagni di viaggio, per tutto il tempo del nostro esistere.
 
Non per tutti c’è una risposta assoluta, di quelle che alludono, senza il crisma del dubbio, ad un Essere Supremo, onnipotente ed onnisciente. E questo, credo, possa essere addirittura un vantaggio, una imprevista utilità, poiché accende gli occhi sull’eterogenia del mondo, provando a trovare in essa gli orditi capaci di rischiarare la verità ed oscurare le tenebre.
 
Sono i dubbiosi, infatti, quelli che cercano, talvolta con disperazione, talvolta con veemenza, tra le oscurità della vita. Lo fanno perché hanno sete, perché sono soli, perché non hanno risposte e cercano frammenti a cui affidare il loro senso.
 
Ho incontrato, nel mondo, tante persone così, pensose e vibranti di curiosità. Tutte hanno lasciato qualcosa, una chiave, un dubbio in più, perché è il loro destino e, forse, la loro missione. Una, Pino, mi ha accompagnato negli ultimi quindici anni, schiudendomi, con la sua illuminata innocenza, alla bellezza del tempo, al fragore della natura, al rigore delle scienze.
 
Mi ha preso per mano e mi ha portato per sentieri, dirupi, greti inesplorati, per mostrarmi che la bellezza non è un assioma comodo, ma un giardino ostico, che risiede ovunque, soprattutto dove non si vede, dove il silenzio trionfa e cede al fragore del fiume, al respiro del vento, allo sciabordio delle foglie. E’ lì, in quell’equilibrio sovrano, in quella simmetria focale, che trova forma il senso, che la risposta si avvicina, che l’illusione si rivela e sfiora i rintocchi della realtà. Ed è in quegli istanti segreti che cuore e mente giocano, insieme alleandosi per vincere la caligine che separa dalla verità.
 
Ed è lì che ha senso, nel sussurrare della natura, nel vociare del mondo, nella pazienza di una schiusa, parlare di sé, del destino e della vita, della felicità e della passione, dell’insurrezione e della resurrezione, della pace e della guerra, della scienza e della fede, di segreti e verità, di misteri e fatalità. Ed è lì, grazie al suo lento argomentare, che ho imparato a sentire più in profondità il mondo e ad interrogarmi severamente sui se e sui ma, sugli oltre e sui sempre, sul prima e sul dopo. Grazie al suo garbo pensoso, al suo pensiero fertile, alla sua curiosità implacabile, al suo dolore inespresso, al suo intelletto colto e libero. Ore ed ore di cammino, a calpestare arbusti, carezzare terre, cercare impronte, ascoltare i fiori, sentirne il profumo e profondersi in parole lievi e contenute.
 
Ora a Pino, medico ed intellettuale eccelso, è concesso di sapere quel che, senza dircelo mai, abbiamo immaginato e, forse, creduto. Di qua resteranno i dubbi irrisolti e, senza la sua paziente curiosità, tanta miseria in più.
 
Addio Pino

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