Eutanasia di una civiltà

La politica ha deciso: buona parte dei borghi Italiani, Calabresi soprattutto, deve morire. Ed il compito della Repubblica non sarà quello di salvarli, ma di accompagnarli alla loro fine, seppur con la pietas e le cure sedative che si devono ai sofferenti terminali. E’ quel che emerge dal Piano strategico nazionale per le aree interne (Psnai), documento prodotto dalla Presidenza del Consiglio, Dipartimento per le politiche di coesione e per il sud. Come si legge nel documento, compito delle istituzioni sarà di curare “l’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile”. Anche le parole contano e la scelta del termine “accompagnamento” dà l’icastico senso di un pietoso corteo funebre in cui prefiche dolorose assicurano le ultime lacrime al paziente che se ne va. Non che l’analisi del documento sia surreale. E’ indubbio che “Un numero non trascurabile di aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività”. Ma è la risposta che non convince, anzi allarma. Il documento, piuttosto che disporsi alla battaglia, si dispone alla resa e chiarisce (obiettivo 4) che queste comunità “hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. L’ eutanasia di una civiltà, insomma. Con un dettaglio che, ad una lettura attenta, risulta agghiacciante. Si proverà, secondo il documento, a salvare qualcuno dei borghi morenti, ma secondo una disciplina impastata di cinismo: premiale per chi si preveda possa farcela, ferale per le altre. E dire, come si legge nel testo di presentazione del documento, che “Il Piano strategico nazionale per delle aree interne, previsto dal art. 7 del D.L. 124/2023, vuole imprimere unitarietà e coerenza politica alla strategia nazionale per lo sviluppo dei territori interni garantendo la massima sinergia tra le risorse nazionali ed europee che confluiscono in quelle aree”. Certo, la situazione è drammatica e bene fa il documento a darne una fotografia. Il c.d. ’inverno demografico’ ha, sul piano nazionale, superato il limite della sostenibilità e la dismetria tra nascite e decessi, nonostante l’apporto di popolazioni straniere, è oltre la soglia di guardia. Nelle aree interne il fenomeno è ancora più grave, giacchè scarseggia la popolazione in età fertile e quella rimasta, in mancanza di serie e durature politiche per la famiglia, non è orientata a mettere al mondo figli destinati alla marginalità. Tuttavia, pensare che la soluzione sia lasciare al loro destino i borghi privi di chances ha il sapore algido dell’indifferenza e dell’arsura politica. I borghi, anche quelli in abbandono, non possono essere numeri aridi, né sassi sui quali posare occhi inclini ai diagrammi contabili. I borghi sono scrigni di civiltà, luoghi di pensiero, terre di costume, dove parole, passioni, relazioni si sono costruite nel tempo ed hanno lasciato scie profonde nel nerbo della nostra civiltà. Dunque, pensare di approcciare il tema con il gelo della squadra metrica o con l’urgere di una clessidra sotto la quale scorre l’abisso è esercizio che non rende merito al nostro Paese ed alle sue pietre fondative, basate sul valore della solidarietà e della coesione sociale. Il che impone di non essere al servizio della corrente, ma attivamente contro corrente, con in testa – non in coda – i fragili, gli abbandonati. Questa è la lezione dell’art. 3 della Costituzione, secondo cui “E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. E del successivo art. 119, secondo cui, “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”. Insomma, le Istituzioni né possono abdicare, né possono rassegnarsi. Loro compito è di spendersi perché nulla della nostra Italia, soprattutto lo scrigno delle sue molteplici identità, vada disperso. Infine, una considerazione. E’ affatto vero che i luoghi siano destinati alla perdizione. Il loro esserci o non esserci non è un segno del destino, ma il riflesso di una direzione, che è nostra colpa o compito tracciare. Perché nei modi, nei tempi, nei cicli più impensati possono accadere cose impreviste, che ci riguardano tutti e tutti ci vedono coinvolti. Basta non rassegnarsi all’onda, sollevare il velo e scoprire che, oltre il bisturi di un ragioniere, c’è un orizzonte nel quale poter immaginare semi di vita posati sul presente. E, si badi, non è un tema che riguarda solo chi governa. Riguarda di più i governati che, se illuminati dalla passione e dalla coscienza di sè, sapranno liberarsi di ogni alibi e trasformarsi in propellente per nuovi capitoli da scrivere. Se così non sarà, l’eutanasia sarà la tappa che attende i nostri borghi e, con essi, quote non marginali delle nostre vite.  In foto, Borgo Croce (RC)
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