Il mondo come rappresentazione, con le sue pianure, i suoi mari, le sue montagne, i suoi fiori, le sue distanze, non esiste, è un simulacro. Esiste se ci sono occhi per vederlo, orecchie per sentirlo, olfatti per odorarlo, mani per toccarlo, bocche per gustarlo, parole per narrarlo, eroi per lenirlo e salvarlo.
E’ l’Uomo la misura, l’essenza del mondo. E’ lui a dare senso al tempo e, attraverso le sue visioni, a filarne il cammino, a tesserne la trama, a fissarne l’orizzonte. E sono le emozioni, figlie dell’Uomo, la sostanza prima del tutto, prima che i cicli e le leggi di natura. Da questi dipendono cose importanti, certo, il giorno e la notte, la pioggia e l’arsura, lo sbocciare o il morire. Non il bene, il bello, la grazia, la scienza, l’amore, che sono riflesso di noi, esseri inermi chiamati a plasmare il tempo e la storia nel segno di parole complesse ed inspiegabili come umanità, solidarietà, conoscenza, libertà.
Ecco perché, in questo mondo vinto da pregiudizi ed apparenze, la differenza è nelle persone, uniche capaci di plasmare la vita, colorarla e fecondarla, come api nutrite di nettare.
Salvatore era una di queste. Gentile e pensoso, curioso di scienze, lavoro ed umanità, era un autentico poeta del vivere. Mai sopraffatto dal pregiudizio, sempre impegnato a capire l’origine ed il fine dei fenomeni, ha odorato i profumi più intensi dell’umanità, catturandone le essenze, cercandone le cause, scrutandone i confini. E lo ha fatto mai distaccandosene, ma rimanendone segnato, come fa un maestro che mentre forma si forma, mentre salva si salva, mentre aiuta si aiuta. E, soprattutto, mai abusando di sé, ma brandendo come arma la pietà, come mezzo la sapienza, come fine la verità.
Ci ha lasciati usando la sua cifra, la sobrietà ed il silenzio, consegnandoci il profumo dei suoi saperi, rendendoci parte di un insieme che, senza donne ed uomini saldi, risulterebbe vano e vuoto. E lo ha fatto ricordandoci che c’è sempre un tempo per capire ed uno per agire e che, se solo imparassimo la sublime arte del silenzio, riusciremmo, nonostante i rumori del mondo, a catturare il senso primo della vita e la difficile via della saggezza e della libertà.
Ci mancherà Salvatore, con quel suo modo mite e gentile di tendere la mano e mettere ordine alle confusioni ed agli smarrimenti. Ci mancherà la parola ferma del suo sorriso, mai troppo pieno, solo pudicamente accennato. Ci mancherà il suo modo acuto e mai domo o prono di curiosare nell’ignoto, che fosse quello indicibile di Dio o quello prossimo alle fragilità degli uomini. Ci mancherà la sua presenza felpata e sussurrata, che nessuna assenza, per quanto riflettuta, potrà sanare. Ci mancherà, infine, il suo orizzonte, che non disegnava solo confini, ma invocava infiniti, nei quali smarrirsi senza perdersi, naufragare senza morire, sognare senza patire.
A noi, che lo abbiamo amato, ascoltato, condiviso, l’arduo compito di non dimenticare, di capire, di interrogarci e continuare.