Percorrendo l’Autostrada del Mediterraneo, nel tratto Lamezia-Falerna (CZ), d’improvviso appare, su una collina, la forma conica ed oblunga di una bellissima torre, certamente parte della rete di avvistamento e difesa realizzata da angioini ed aragonesi prima e poi ripresa e rinforzata nel periodo del vicereame e del regno di Napoli.
Basta uscire a Falerna, tornando sulla statale 18 in direzione sud, per accorgersi che quella torre è preceduta, a poca distanza, da un altro piccolo maniero, parimenti di forma conica, chiamato “torre della rupe”, verosimilmente per il suo essere al culmine di un costone roccioso, o “torre lupo”, per via della curiosa forma di lupo o leone a riposo che sembra scolpita sulla roccia.
Pochi chilometri ancora ed ecco apparire, in successione, prima il faro di Capo Suvero, in territorio di Gizzeria e poi, sovrastante, la Torre di Capo Suvero, sbirciata dall’autostrada.
Si tratta di una torre, detta anche dell’Ogliastro, verosimilmente per omaggiare la presenza abbondante di ulivi, che risalirebbe alla metà del XVI secolo e che sarebbe stata costruita, unitamente alle altre in prossimità, su indicazione della Corona Spagnola e disposizione del viceré di Napoli, don Pedro de Toledo, per contrastare le ricorrenti scorrerie di pirati ed ottenere un avvistamento precoce di forze ostili. Il tutto, parrebbe, a spese della popolazione.
Il primo problema che si pone è capire come arrivarci. Inutile cercare indicazioni, non ce ne sono. Eppure, via via che si costeggia il mare e ci si approssima al faro, la torre appare sempre più vicina. Finché, proprio nella verticale del fortilizio, ecco un sottopasso ferroviario. È la via. Si lascia l’auto sulla statale, lo si attraversa e, dopo un breve attraversamento urbano, ci si immette in una stradina che, risalendo vorticosamente la collina, prima fa una torsione a sinistra, correndo per circa duecento metri parallela all’autostrada, poi torce a destra verso un cavalcavia che consente di scavallare la striscia autostradale ed immetterci decisamente in direzione della torre, ormai a non più di duecento metri.
Da lassù lo scenario è semplicemente straniante. Lo sguardo corre libero a 360 gradi, da nord a sud, da est ad ovest, consentendo di scrutare l’intero arco tirrenico e, di spalle, i monti del Reventino. L’occhio della torre è dritto sul mare, di un azzurro accecante, quasi un presagio del Paradiso narrato dai testi sacri. Ponendo lo sguardo a sud, la torre guarda all’intero golfo di Sant’Eufemia, allo stagno di Gizzeria ed alla lunga lingua di autostrada che si adagia sulle terre fertili del lametino, fino a scrutare, in fondo, le rocche di Pizzo, Briatico e Tropea. A nord, gli occhi cadono, prima, sul bellissimo edificio, forse una ex masseria, che ospita il candido faro di Capo Suvero e poi, in lontananza, sulla costa che si accende verso Amantea, Fiumefreddo Bruzio, Aiello, San Lucido, Paola.
Vista da vicino, la torre esibisce il suo fascino antico, ancorchè decadente, ed una imponenza ancora intatta, nonostante gli insulti del tempo. In essa, tra le pietre irregolari e di diversa matrice litica, si coglie uno stato di incuria assoluta che, credo, risalga alla notte dei tempi. Né vi è traccia di un qualunque segno, che ne notizi la storia e le origini. Sul lato monte, una lacerazione corre verticale per tutto il fronte, mentre sul lato mare, dal quale si apre l’accesso, si registra una moltitudine di crolli, che hanno reso irregolare l’architettura, pur ancora solida. L’interno è desolatamente privo di orpelli, solo un vano utile ad ospitare, con gravi ristrettezze, due o tre uomini di guardia, non di più. Alla destra del varco di accesso, una nuova lacerazione in direzione nord, forse una feritoia, forse un ulteriore segno di erosione del tempo. Attorno, una radura grassa, a tratti coloratissima di fiori rossi, il ronzare di insetti sovrani e rare alberature, che sembrano la guardia di quello che fu un luogo di guardia. Sullo sfondo, un panorama che verrebbe voglia di abbracciare, tanto sembra di aliena bellezza.
Certo, qualche considerazione si rende necessaria. Lo stato di abbandono e di esclusione memoriale ed identitaria del sito è imbarazzante. Se ben studiato e rivelato, l’edificio consentirebbe di aggiungere dettagli alla trama storica che vide le coste meridionali punteggiate di manieri costieri, con scopi di avvistamento e difesa. Soprattutto, consentirebbe di aggiungere un elemento di attrazione ad una regione che, pur godendo di ricchezze storiche di prima grandezza, continua a rimanere residuale nel novero dei luoghi attrattivi del nostro Paese. L’invito, dunque, è a prendere contezza del luogo, visitarlo e farne testimonianza. Magari, qualche lucina di interesse si accenderà.